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La notte di Sant’Andrea,”scrusciu di lanne…”

La notte di Sant’Andrea,”scrusciu di lanne…”
30 novembre
18:26 2017

SALEMI. L’aria odorava d’ autunno. Per le strade il fumo dei caldarroste si fondeva alla nebbiolina di Novembre. La sera si trascinava pigra e sonnolenta nelle case tra il profumo dei legumi che borbottavano nella grossa pentola di terracotta e l’aroma dolce delle cotogne appena cotte. Il tempo sembrava non passare mai, rallentato dal letargo autunnale e dalle lunghe ore di buio.

Brillavano, rubini luccicanti, i chicchi del melograno appena sgranato dalla nonna sulla tavola apparecchiata per la cena. Intanto la mamma trascorreva il tempo rammendando la biancheria in attesa che arrivasse l’ora di desinare. Anche i ragazzi, che si trovavano ancora in strada a giocare, ammantati dal nero scialle della sera, che aveva derubato di luce le ore del giorno, erano particolarmente silenziosi. La mamma, non avvertendo i loro soliti schiamazzi, pensò che quel silenzio fosse alquanto sospetto. Presagiva la quiete prima della tempesta. Ma di quale tempesta si trattava questa volta? Preoccupata, si affacciò in strada e li chiamò. La via Giudecca sembrava essere deserta. La luce ambrata del lampione, ovattata dalla nebbiolina, rendeva evanescente ogni cosa. Persino l’acciottolato, in lontananza, diveniva sfocato e sfuggente e così pure le figure umane sembravano dissolversi nel nulla. Sagome indistinte, i ragazzini, si materializzarono, come per magia, agli insistenti richiami della mamma e rientrarono in casa per la cena. Il desinare trascorse fra occhiate, ammiccamenti e mezze parole che si scambiarono fra di loro. Appena ingoiato l’ultimo boccone, Pino e Vito erano già in piedi, pronti a scappar via, giù, in strada, dove si erano già radunati altri ragazzi, per quell’ insolita impresa. Era stata pianificata ogni cosa. I ragazzi avevano trascorso intere giornate nella ricerca del materiale occorrente, ispezionando i rifiuti lasciati fuori l’uscio, in attesa di essere raccolti, dalle botteghe di alimentari all’ora di chiusura. Recuperando, così, latte vuote di sarde salate, di biscotti o di altri alimenti. Rovistando nelle discariche, talvolta scivolandovi dentro rovinosamente, usando le mani per scavare, con la stessa bramosia di chi cerca un tesoro nascosto, scovando, tra gli oggetti più impensati, coperchi e pentole scalfiti dall’uso e dalla continua esposizione al fuoco e ogni genere di lanni e attrezzi. Persino vasi da notte di latta smaltata che avevano assolto alla loro primaria funzione, stando nascosti, con discrezione, sotto il letto, sempre in attesa. I ragazzi facevano ritorno a casa, la sera, sporchi e maleodoranti ma soddisfatti del lavoro compiuto. Avevano accumulato questa roba in un nascondiglio sicuro, un vecchio catoio di una casa abbandonata che era diventato il loro quartier generale. Poi, con un punteruolo, avevano forato pazientemente le latte una per una per poterle legare insieme, bucandosi, durante quell’impresa, anche qualche dito. In strada confabularono per un po’ fra di loro e poi ebbe inizio l’ operazione tanto attesa. Un gran fracasso animò, tutt’un tratto, quella via e da lì si propagò per tutto il paese. Uno scrosciare di barattoli di latta, pentole, coperchi e vasi da notte che, da eroi, attaccati a delle cordicelle, venivano trascinati da quei ragazzini che correvano e gridavano per le vie e le scalinate dai Salemi. Gioia effimera la loro, quella di tornare a vivere da protagonisti in quell’ultima notte di Novembre per poi essere gettati nuovamente via, il giorno dopo. Le fila dei guerrieri di latta si ingrossavano man mano di strada in strada, di quartiere in quartiere dalla Misericordia, alla chiazza, al chianu, alla strata Mastra, alla Madrice al grido di “Viva Sant’Annirìa”.

La notte, come per incanto, si animò e prese forma. La gente si affacciò meravigliata, poi qualcuno disse: “ Scrusciu di lanni, oggi è Sant‘Anniria”.

Anche gli adulti ricordarono con nostalgia quell’usanza e di come, ragazzini, aspettassero trepidanti la sera del 30 Novembre, per poter dare libero sfogo alla loro fantasia, trasformandosi in potenti guerrieri, in grado di schiacciare, col fracasso di quelle latte, gli spiriti nella notte dell’ultimo di Novembre.

A Salemi nessuno più ricorda quale fosse l’origine di quest’usanza che è sicuramente da rintracciare in un lontano passato, riconducibile a riti pagani diffusi in molti paesi del nord Europa, dove ancora ne rimane il segno. L’ultimo di Novembre era considerato giorno di passaggio alla stagione invernale. Si credeva che durante quella notte gli spiriti fossero liberi di vagare tra gli uomini i quali, per scongiurare il male che avrebbero potuto compiere e tenerli lontani dalle loro case, attaccavano, per scaramanzia, sulle porte, delle trecce d’aglio e facevano un gran rumore, sbattendo pentole e coperchi per spaventarli.

Il cristianesimo, com’è noto, cercò di debellare i culti di origine pagana sostituendoli con feste cristiane ma, il retaggio di quelle antiche usanze sopravvisse, sbiadendone, però, il ricordo tra le pieghe del tempo.

Il 30 Novembre divenne il giorno di Sant’Andrea che in quella data venne crocifisso a Patrasso, in Grecia, nel 60 dopo Cristo, su una croce decussata, che da lui prenderà il nome di Croce di Sant’ Andrea.

Era il fratello di Simon Pietro, divenne discepolo di Gesù e, dopo la sua morte, andrà per il mondo a predicare la lieta novella. Durante i suoi viaggi, toccherà quei paesi che si affacciano sul Mar Nero di cui diventerà il patrono.

Tornando al connubio tra sacro e profano, vorrei ricordare due singolari cose che si facevano in questa particolare giornata. Una di queste era quella di credere nella capacità delle persone che portavano il nome di Andrea di guarire i malanni della gente, nel giorno del loro onomastico, anche se la cura da loro indicata, fosse fantasiosa. L’altro è il seguente detto che i ragazzini ripetevano in quella giornata: Sant’Annirìa lu micciulusu / trasi e nesci di lu pirtusu.

La traduzione suonerebbe più o meno così: Sant’Andrea lo scarmigliato entra ed esce dal buco. Questa è un frase che, apparentemente, sembrerebbe non aver alcun senso ma, se volessimo trovarne uno, potremmo azzardare che Sant’Andrea è qui paragonato ad uno di quegli spiritelli dispettosi a cui poc’ anzi ho accennato, che, in casa, entra ed esce a suo piacimento dal buco della serratura a dispetto di qualsiasi scongiuro. Naturalmente questa è soltanto una mia personale interpretazione.

Rosanna Sanfilippo

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