Storie di Sicilia: Crocifissi ricavati dalle ossa. Un’antica tradizione per salvare le anime dei detenuti


Con lo pseudonimo Fausto Di Renda, il barone canicattinese Agostino La Lomia pubblicò sul Giornale di Sicilia (24 giugno 1952) e su L’Illustrazione Siciliana (marzo-aprile 1954) un pregevole articolo: Il culto delle anime sante dei corpi decollati in Sicilia – Tradizionale venerazione a Palermo e caratteristici riti a Canicatti nel passato Settecento.
Racconta il barone della tradizione presente in molti comuni siciliani di dedicare cappelle votive ai condannati a morte. La loro anima vagherebbe in cerca della pace eterna finché le loro colpe non siano espiate dalle preghiere dei devoti.
A Canicatti, lungo la regia trazzera che conduce in contrada Scala (oggi via De Amicis), sorge una piccola cappella ove è venerato un quadro “di l’Armi Santi Decollati” o “di l’Armi Addicullati”. Fino a qualche anno fa da tutta la città vi si recavano, spesso a piedi scalzi, tanti devoti, soprattutto nei giorni di venerdì e lunedì. Oggi la cappella viene aperta solo una volta nell’intero anno: vi si celebra una messa il “lunedì entro l’ottava della Commemorazione dei defunti”.
Fra i devoti dell’Armi Santi Decollati il più famoso fu “masciu Caloiru Bichinu”, vissuto a Canicatti nella prima metà del Settecento. L’artista si era specializzato nello scolpire “cristi morenti”, usando come materia prima ossa umane, in particolare ossa appartenenti ai corpi dei giustiziati. Nel pensiero del macabro scultore, il fatto di trasformare la materia umana in simulacro aiutava l’anima del giustiziato a trovare riposo eterno.
I crocifissi venivano regalati ai monasteri e alle chiese perché le preghiere dei devoti avrebbero arrifriscatu l’arma del condannato a morte che, dati i suoi percorsi di vita, ne aveva davvero tanto bisogno.
Masciu Caloiru non aveva difficoltà alcuna a procurarsi la materia prima, cioè le ossa strappate ai cadaveri, con preferenza per le tibie. Egli, infatti, svolgeva l’incarico di portatore ufficiale dei morti nel Comune di Canicatti.
A quei tempi in Sicilia i cadaveri venivano trasportati a spalla su una sedia collocata sul groppone; durante il tragitto dalle case alla chiesa i cadaveri venivano legati alla sedia con ampie fasce. L’ultimo portatore ufficiale del Comune di Canicatti fu Diego Di Lucia, inteso Librinu, morto verso il 1870.
Nel mese di maggio del 1727 Caloiru Bichinu dovette lavorare molto. Francesco Bonanno, signore di Canicatti, aveva avuto da Sua Maestà Cattolica Carlo III di Borbone l’incarico di “estirpare i ladri e i grassatori che taglieggiavano cavalieri e cittadini” e, a tale scopo, aveva trasferito a Canicatti la Gran Corte Criminale. Furono arrestati sette pericolosi predoni capeggiati da don Raimondo Sferlazza, chierico diacono di Grotte, di anni ventisei. Dopo un sommario processo nella Sala delle Armi del Castello, i sette furono condannati a morte mediante forca.
Nei tre giorni precedenti l’esecuzione, furono affidati alle cure di due religiosi e di due civili della Confraternita dei Bianchi che – abbiamo già detto – aveva sede nella chiesa di Santa Rosalia. In quell’occasione entrarono in azione per la prima volta alcuni membri della Confraternita di Maria SS. degli Agonizzanti.
In quei tre giorni, mentre nella chiesa degli Agonizzanti si svolgevano delle cerimonie religiose, in particolare la messa dell’impiccato che veniva celebrata all’alba, nella piazza principale veniva esposto lo stendardo della Confraternita.
Intanto i confrati andavano in giro per la Città colli coppi, questuando le offerte necessarie per la celebrazione delle messe.
Raimondo Sferlazza fu impiccato il 5 maggio 1727 in località Fulchi; gli altri condannati nei giorni seguenti. Le sentenze furono eseguite da un boia particolarmente esperto venuto da Palermo al seguito del Vicario Regio. I corpi furono sepolti nella chiesa di San Calogero. Subito dopo Calogero Bichino si dedicò, con devota passione, al suo paziente lavoro.
GAETANO AUGELLO
La storia è tratta dal libro “Canicatti in 138 pillole” dello scrittore e storico locale Gaetano Augello.