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Il Museo della Mafia a Salemi, la terra è rossa

Il Museo della Mafia a Salemi, la terra è rossa
03 giugno
16:00 2017

SALEMI.Il ticchettio incessante della vecchia macchina da scrivere mi confonde e mi turba. Ogni battutaccia mi colpisce come un colpo di lupara. Le battute si susseguono, si moltiplicano, mi aggrediscono come gragnola. Mi fiaccano la mente ed il corpo. Apro gli occhi e mi ritrovo in questo labirinto di morti ammazzati, di cadaveri trivellati, incaprettati abbandonati in mezzo alla campagna, sotto gli ulivi, tra gli anfratti, sulle strade, nelle auto. Cullati dal loro stesso sangue che da secoli inzuppa la nostra terra. La terra, qui in Sicilia, è tinta rosso sangue e non basta il pianto delle madri, delle mogli, dei figli di tutti coloro che son morti a lavar via quest’onta. Non basta nemmeno l’acqua del mare che lambisce, ora con dolci carezze ora frustando con risentimento l’ isola del sole dove giovenche venivano immolate in suo onore in un tempo lontano e non vite umane. Era, quello, il tempo degli eroi. Man mano andiamo avanti, le prime pagine ormai ingiallite dei vecchi giornali di cronaca ci raccontano lo strazio di tante vite miseramente spezzate anzi tempo per colpa di un dio minore: il potere.

Ed è in nome del potere che i figli di quel Dio che si è fatto uomo ed è morto sulla Croce per salvare l’umanità, si ergono a dio essi stessi, padroni dell’ altrui vita, per decidere di toglierla a chi è loro d’intralcio.
In questo carosello di morti si alternano nomi eccellenti a nomi di sconosciuti, illustri servitori dello stato a persone meno note ma morte anch’esse per lo stato. Nomi di grandi mafiosi che non voglio ricordare a nomi di uomini comuni, di persone, bambini dissolti nel nulla di una reazione chimica dove l’acido scioglie anche l’anima, di passanti che hanno avuto la sventura di trovarsi nel posto sbagliata al momento sbagliato come quella madre che a Pizzolungo stava accompagnando i suoi bambini a scuola. Come quella fidanzatina seppellita insieme al suo ragazzo che frequentava ambienti mafiosi, morti in una guerra di mafia senza inizio ne fine. Vorrei scappare via da questo macabro mausoleo fatto di cadaveri, ma mi soffermo sulle grandi stragi di Capaci e di via D’Amelio, dove hanno perso la vita gli uomini migliori del nostro sistema giudiziario: Falcone e Borsellino, colpevoli di aver combattuto il GRANDE MALE dell’isola.

Una lacrima bagna il mio volto. Come non commuoversi sulle immagini di quel cratere lasciato dall’esplosione violenta che ingloba auto, corpi umani e polvere da sparo. A Capaci lo stato di natura è riuscito a vincere la sua battaglia contro lo stato di diritto. La seconda la vincerà, poco dopo, a via D’Amelio. Ma sono solo delle battaglie! Mi immetto in un percorso dove da un lato fa bella mostra di se la Palermo di fine ‘800 con le sue palazzine liberty nel cuore della città e dall’altro la cementificazione selvaggia, benedetta persino dalla chiesa, che come piovra si estende rodendo e mortificando la città di Federico II, dei vice re spagnoli, di Santa Rosolia che guarda sconsolata dall’alto di monte Pellegrino, delle grandi famiglie di armatori e commercianti di fine secolo scorso, grandi mecenati, quando il bello era ancora considerato un bene prezioso, un valore da custodire.

Inglobati in blocchi di grigio cemento, le tante vittime di lupara bianca gridano forte la loro verità, ma nessuno riesce ad udire i loro richiami, la loro voce non raggiunge l’orecchio umano ma si perde fra i meandri delle fondamenta di tanti palazzi. Anche la loro anima è rimasta ingabbiata nel cemento, non è riuscita a liberarsi, a raggiungere il cielo, a vedere Dio. Ne ho abbastanza, decido di andar via ma la curiosità si ferma sulle vecchie cabine elettorali custodi di mille imbrogli. Ne apro una, a caso, è una cabina mattatoio, con piccole piastrelle bianche, sporche dall’uso. Sembra proprio una stanza – mattatoio, dove vengono sgozzati gli animali. Un susseguirsi di immagini di animali sgozzati e squartati si alterna a quelle di uomini uccisi dalla mafia e scorre tanto, tanto sangue. Apro un’altra cabina.

In bella mostra c’è una Bibbia, sulla quale giurano i mafiosi neofiti tenendo tra le mani l’ immaginetta di un santo, mentre brucia. Poi la collusione tra potere politico e mafia. Il discorso fatto di mezze parole del mafioso in carcere alla moglie, alla quale cerca di comunicare i suoi ordini. Basta. Ho deciso di andar via. Di uscire da questo luogo dove non si parla che di morte, di sangue. Mi allontano in fretta da quelle stanze dove la creatività di un artista come Cesare Inzerilli ha inglobato nel cemento vivo le sue mummie, ha trasformato le cabine elettorali in tutto quello che si nasconde dietro il voto.

Quel voto che dovrebbe rappresentare la libertà di un popolo, la sua sovranità. Sento un sibilo che si fa sempre più forte, che diventa sempre più fastidioso all’orecchio umano ma che non puoi fare a meno di percepire. E’il canto di moderne Sirene, il sibilo dei pali eolici, dislocati in maniera selvaggia sul territorio. Ultimo grande business del malaffare. Esco finalmente fuori, una zaffata d’aria fresca mi investe, io l’aspiro a pieni polmoni, ma l’amaro in bocca resta e con esso rimane anche il dolore che mi stringe l’anima.

Rosanna Sanfilippo

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