Vincenzo Grimaldi, il “bersagliere” dai cento anni e la sua grande festa di compleanno


Quando incontriamo una persona di 100 anni, tendiamo spesso a volere sapere quanto più possibile della sua vita, dei suoi passatempi, della sua alimentazione. Un indagare, che in qualche modo ci vorrebbe far scoprire qual è l’elisir di lunga vita. Vincenzo, ha compiuto un secolo e non è uno dei soliti centenari: energico, allegro, perfettamente lucido, ricorda ogni momento del suo vissuto. I suoi occhi emanano una forte luce, quella di chi non ha mai smesso di amare la vita.
Guerre, lutti, malattie non lo hanno mai piegato. La sua capacità di adattarsi e la sua intelligenza lo hanno reso forte e imperterrito. Uno dei suoi indelebili ricordi riguarda la guerra in Libia, lui giovane e bello (come fa più volte notare, con un sorriso birbante) non aveva paura di nessuno. Gli spari si susseguivano giorno e notte ma lui non temeva ne di morire ne di affrontare i residenti. Un giorno, nonostante il “bene di Dio” come lui stesso definisce le provviste destinate ai militari, era andato a comprare delle uova fresche da una donna araba. Non ricorda il numero delle uova che comprò ma ricorda perfettamente la faccia del marito della bottegaia che convinto del fatto che lui stesse corteggiando la propria donna, in poco tempo lo fece accerchiare da numerosi amici e parenti. A Vincenzo, dopo un timido tentativo di chiarire l’equivoco, con le poche parole in arabo che conosceva (e ricorda tutt’oggi), non rimase far altro che scappare a gambe levate. Vincenzo, aveva dei bellissimi capelli ricci, quasi angelici e di cui andava molto fiero. Un’arma seduttiva che curava molto. La sera prima di andare a dormire racconta, con dovizia di particolari, li tirava indietro col pettine e li copriva con una benda. La mattina, all’alba, quando si alzava dal letto erano già sistemati. Di quel periodo conserva ancora la fotografia, dentro una portafoto in resina creato con maestria con le sue abili mani.
“E le donne”, dice sorridente, “non per volermi vantare, ovunque passavo, rimanevano incantate da quei ricci” ma lui sottolinea non era un dongiovanni e se amava una donna non le mancava di “rispetto” e in dialetto esclama: “non si dica mai che abbia approfittato ad una femmina, sono stato sempre onesto, non è giusto…”.
Nel suo linguaggio il termine “fimmini” non viene mai accostato a quello di “masculi” ma ad “omini”. Un associazione assolutamente lontana dalla concezione maschilista che vede la donna come un essere inferiore. Nel suo modo si esporsi Vincenzo fa trapelare un animo sensibile e tenero e raccontando alcune storielle domestiche, fa comprendere il garbo usato verso il gentil sesso, e la maturità necessaria a rendere il maschio un “uomo”. Vincenzo aiutava la moglie Maria, a fare le “sfinci” con le patate nuove, e si prendeva cura anche dei “suoi” gatti nonostante non rientrassero tra i suoi animali preferiti, anzi…
Per la sua capigliatura veniva preso in giro dal padre che amava definirlo “spillacchiu” (che vuol indicare un uomo di paese, raffinato) per contrapporlo ai lavoratori di campagna dall’aspetto più semplice, ma nonostante fosse vanitoso il papà sapeva che Vincenzo era un ragazzo con la testa sulle spalle.
La vita di Vincenzo è stata dedicata alla campagna o per meglio dire alla natura, che ama in tutte le sue forme. Avviato dal padre ai lavori agricoli, imparò tutto gestendo ad arte tutti i terreni di famiglia. Il suo rimpianto è quello di non avere avuto un lavoro di altro stampo, che si potrebbe definire intellettuale. Da militare, nonostante avesse le terza elementare, imparò da autodidatta il codice morse, come lui stesso afferma “aviamu lu scoli vasci ma la testa ni funzionava bona”, a volere dire che nonostante il titolo di studio della sua generazione fosse spesso solo quello della scuola elementare, la loro mente era comunque vivace e arguta. Conoscendo il codice morse avrebbe potuto lavorare alla Posta, come più volte disse ai genitori, ma a quei tempi, il figlio maschio era un elemento prezioso per il lavoro dei campi e così quella del bersagliere resta una delle esperienze di cui andare più fiero.
Proprio durante il suo compleanno, festeggiato il 16 aprile, per lui una grande sorpresa è stata proprio quella della banda (la Sud street band) che ha suonato per lui, la famosa fanfara. Un regalo graditissimo che dopo 10 giorni continua a raccontare con entusiasmo a tutti: “’Na festa ranni, un’avia mai vistu dedicari na festa accussi a nuddu. U sinnaco mi abbrazzau – afferma con gli occhi gioiosi – quannu mai un sinnacu avia abbrazzatu un vecchiareddu” (Una grande festa, che non avevo mai visto dedicare a nessuno, e il sindaco mi ha abbracciato, mai un sindaco aveva abbracciato un vecchietto) e prosegue “Ta ta ra tara tta tara, tara r ara ra, r ara r ana ra”, intonando la fanfara e muovendo la mano per tenere il ritmo. Ma felice è anche della Messa, celebrata per lui da Don padre Saladino e del simposio con tanto di pranzo e di torta.
I suoi occhi luccicano, felice della vita trascorsa e orgoglioso del suo unico figlio Biagio Grimaldi, rinomato medico e dei nipoti Fabio e Sergio, laureati e intraprendenti. Non immaginava dice, di arrivare ai cento anni ma la sua voglia di vivere continua a essere fervida: “Semu arrivati ca, appena fazzu 200 anni facemu nastra festa oppuru appena faciti 100 anni vuiatri – afferma ironicamente – vegnu a la festa vostra. Intanto chidda mia fu fatta!” (Siamo arrivati a questo traguardo, non appena compio 200 anni, facciamo un’altra bella festa, oppure non appena compite 100 anni voi, verrò alla vostra, intanto la mia è stata fatta!)
Alla domanda cosa è importante nella vita, risponde: “Bisogna avere fede, fede nella Madonna e fede in se stessi!”