Emigrazione e abbandono del territorio: il destino dei siciliani tra passato e presente

di Antonino M. La Commare
L’emigrazione è da sempre una delle grandi piaghe della Sicilia, una costante storica che ha visto milioni di persone lasciare l’isola in cerca di migliori opportunità. Dall’inizio del Novecento ai giorni nostri, il fenomeno ha assunto forme diverse, ma con un unico comune denominatore: la difficoltà della Sicilia nel trattenere le sue risorse umane e offrire un futuro dignitoso ai suoi giovani.
Le prime grandi ondate migratorie si registrarono tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, con migliaia di siciliani diretti verso le Americhe, in particolare gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile. Nel secondo dopoguerra, l’emigrazione si spostò verso le grandi città industriali del Nord Italia e del Nord Europa, con la Germania, la Svizzera e il Belgio tra le mete principali. In questo periodo, interi paesi della Sicilia occidentale videro un drastico spopolamento, con comunità che si ridussero alla metà nel giro di pochi anni.
Oggi il fenomeno assume una nuova dimensione: non si emigra più per fame o per necessità immediata, ma per la mancanza di prospettive lavorative e professionali. Secondo i dati Istat, negli ultimi vent’anni oltre 800.000 siciliani hanno lasciato l’isola, un esodo silenzioso che coinvolge soprattutto giovani laureati e professionisti altamente qualificati. Questo fenomeno, noto come “fuga dei cervelli”, rappresenta una grave perdita per il tessuto economico e sociale della regione, che investe nella formazione senza riuscire a trattenere le sue migliori risorse.
Le cause dell’emigrazione odierna sono molteplici: la disoccupazione giovanile ai livelli più alti d’Italia, la precarietà diffusa, la mancanza di politiche efficaci per lo sviluppo del lavoro e una classe politica incapace di rispondere alle esigenze delle nuove generazioni. A tutto ciò si aggiunge una qualità della vita percepita come inferiore rispetto ad altre regioni, con servizi pubblici inefficienti, infrastrutture carenti e scarse opportunità di crescita personale e professionale.
Le conseguenze dello spopolamento sono evidenti: intere aree interne della Sicilia occidentale stanno morendo, con borghi che si svuotano e comunità che faticano a sopravvivere. Il calo demografico ha un impatto diretto sull’economia locale, con la chiusura di attività commerciali, la riduzione dei servizi essenziali e il declino di interi settori produttivi, in particolare l’agricoltura e l’artigianato.
Invertire questa tendenza non è semplice, ma alcuni segnali di speranza arrivano da iniziative di valorizzazione del territorio e incentivi per il rientro dei giovani. Programmi di residenza diffusa, progetti di coworking nei piccoli centri e incentivi fiscali per chi decide di tornare a investire nell’isola sono tentativi di contrastare il fenomeno. Tuttavia, senza un serio piano di sviluppo che crei lavoro stabile e renda la Sicilia un luogo attrattivo non solo per il turismo, ma anche per la vita quotidiana, il rischio è che l’isola continui a svuotarsi, con un futuro sempre più incerto per le nuove generazioni.